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COVID-19 ed aritmie

Nel dicembre 2019 la malattia da coronavirs COVID-19 è stata per la prima volta descritta a Wuhan, in China. Le prime descrizioni mostravano che il SARS-CoV-2 causava una forma severa di sindrome respiratoria. E’ subito emerso che i pazienti con comorbidità, tra cui l’ipertensione, il diabete, malattie polmonari, insufficienza renale avevano una prognosi peggiore, soprattutto se anziani.

Successivamente è stato evidenziato che il COVID-19 può avere anche un interessamento cardiaco sotto forma di danno miocardico (rilascio di troponina) e di aritmie cardiache.

Tra 2760 pazienti ricoverati per COVID-19, il 12.9% ha sviluppato aritmie cardiache durante al degenza. Le aritmie sopraventricolari, (fibrillazione atriale, flutter atriale ed altre aritmie sopraventricolari) erano le aritmie più frequenti trai i pazienti che avano sviluppato un evento aritmico (81.8%).
Le aritmie ventricolari (tachicardia ventricolare non sostenuta, tachicardie ventricolari sostenute, fibrillazione ventricolare), invece, rappresentavano solo il 21% degli episodi. Il 22.6% dei pazienti ha sviluppato bradiaritmie.

I pazienti che hanno sviluppato aritmie cariache durante il ricovero presentavano anche altre comorbidità, tra cui l’ipertensione (69%), il diabete mellito (42%), scompenso cardiaco (30%), malattia coronarica (24%). La maggior parte dei pazienti che hanno sviluppato aritmie durante l’infezione da SARS-CoV-2 non avevano una storia precedente di aritmie.

Si ritiene che l’infiammazione, lo stress ossidativo e la sindrome metabolica sono strate implicate nella genesi della fibrillazione atriale; in particolare i pazienti con sindrome metabolica (coesistenza di almeno 3 condizioni tra circonferenza vita aumentata, pressione arteriosa elevata, Colesterolo HDL basso, Trigliceridemia elevata, glicemia elevata) hanno un rischio aumentato di sviluppare la fibrillazione atriale.